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Emersione, per i giudici dovrebbe essere di 180 giorni la durata ordinaria per l’esame della domanda

Una sentenza del Consiglio di Stato chiarisce il quadro normativo applicabile ai termini per l’ esame della domanda di regolarizzazione


ll parametro ordinario di durata al quale rapportare lo svolgimento di un procedimento in materia di immigrazione è di 180 giorni dall’invio della domanda, oltre il quale, in assenza di espressa previsione normativa, può ravvisarsi il superamento del termine da parte dell’amministrazione e, conseguentemente la legittimazione ad agire attraverso la procedura del silenzio per ottenere la conclusione del procedimento di emersione.

È questo quanto stabilito la III sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3578 del 9 maggio scorso, con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado del Tar Lombardia, sulla base tuttavia di una diversa motivazione.

Il caso

Nel giugno 2020 un datore di lavoro aveva presentato domanda di emersione del rapporto di lavoro irregolare ai sensi dell’art. 103, comma 1, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77. Non avendo dopo un anno ricevuto risposta, nel luglio 2021 aveva presentato ricorso al TAR, basando la sua richiesta sul il termine generale di 30 giorni entro il quale, in base all’articolo 2, comma 2 della legge n. 241/90 il procedimento amministrativo deve essere concluso, qualora non siano previsti dall’ordinamento giuridico specifici e diversi termini. Il TAR Lombardia aveva concordato con questa tesi, ma il Ministero aveva impugnato la sentenza del TAR, richiamandosi all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato secondo il quale, ai sensi dell’art. 2, comma 4, della L.241 del 1990, la materia dell’emersione deve ritenersi esclusa dall’intero sistema dei termini per il procedimento amministrativo.

Il quadro normativo

Il termine generale entro il quale il procedimento deve essere concluso, qualora non siano previsti dall'ordinamento giuridico specifici e diversi termini, è quello indicato dall'art. 2, comma 2, della l. n. 241 del 1990, ovvero trenta giorni.

Lo stesso articolo 2 al comma 3 consente l’emanazione di norme regolamentari con le quali possono essere introdotti termini derogatori: “Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali”.

Infine, il comma 4 dello stesso articolo prevede, che “Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione”.

L’art. 103, comma 1, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 nel disciplinare la procedura di emersione non ha espressamente previsto un termine per la conclusione del procedimento.

La sentenza

Secondo l’impostazione fatta propria dal Tar Lombardia, essendo quelle previste dall’articolo 2 - commi 2 e ss. – della legge n. 241/90 mere facoltà derogatorie, in mancanza di una espressa previsione speciale troverebbe applicazione il termine ordinario di trenta giorni anche per i procedimenti in materia di immigrazione.

Diversa la ricostruzione fornita dal Consiglio di Stato, il quale ribadisce il principio già enunciato in precedenti sentenze (per tutte, Cons. Stato, sez. III, n. 1425 del 2016) in base al quale “l'esclusione della materia dell'immigrazione, di cui all'ultimo periodo dell’articolo 2 comma 4, della legge n. 241/90 riguarda l'intero sistema dei termini per il procedimento amministrativo prevista dai tre commi e a maggior ragione il termine più breve (ovvero 30 giorni) previsto dal comma 2”

È certamente vero che per l’introduzione delle regole previste dai commi 3 (termine massimo di 90 giorni) e 4 (termine massimo di 180 giorni) occorre l’esercizio del potere regolamentare ivi previsto: il comma 3 prevede che con D.P.C.M. “sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali” ed il comma 4 aggiunge che con D.P.C.M. possono anche essere previsti termini superiori a 90 e inferiori a 180 giorni. Tuttavia, ad avviso dei giudici, si deve escludere che l’esercizio del potere regolamentare sia necessario per sottrarre i procedimenti in tema di immigrazione e cittadinanza al limite temporale massimo dei 180 giorni: lo stesso articolo 2 ha previsto che per questi procedimenti (e solo per loro) l’ordinaria durata possa essere più lunga, da un lato per la loro particolare e intrinseca complessità e dall’altro per il pressoché certo altissimo numero dei procedimenti amministrativi, attivati con le istanze degli interessati.

D’altra parte, la deroga prevista per questi procedimenti neppure prevede un espresso limite temporale: il comma 4 dell’art. 2 non fissa un termine finale (superiore ai 180 giorni) entro il quale tali procedimenti si devono comunque concludere e nemmeno dispone che il superamento del termine debba essere giustificato nei singoli casi.

Ciò premesso, rileva il Consiglio di Stato, pur in assenza di una puntuale indicazione normativa, è possibile rinvenire nelle maglie della normativa un implicito termine residuale applicabile ai procedimenti in materia di immigrazione e detto termine può ricavarsi in via interpretativa proprio dalle altre disposizioni di legge relative al settore dell’immigrazione, le quali, nel fissare come ordinariamente superabile, nella materia degli stranieri, il limite temporale dei 180 giorni, lasciano intendere che è proprio questo il parametro ordinario di durata al quale rapportare il loro svolgimento.

Se il punto di “tolleranza” – sottolineano i giudici - si situa intorno alla soglia “critica” dei 180 giorni, è ragionevole fissare su tale standard il limite di durata “ordinario”, oltre il quale può ravvisarsi il superamento del termine da parte dell’amministrazione.

Tale quantificazione – concludono i giudici - consente di fondare la legittimazione ad agire attraverso la procedura del silenzio allorquando sono trascorsi oltre 180 giorni dall’inoltro della domanda. In tali casi sussiste l’interesse tutelato delle parti alla conclusione del procedimento di emersione.



dati pubblicazione

Fonte: Portale integrazione migranti
Data: 19/05/2022
Area: area pubblica

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